Il nostro Paese si sta preparando alla proroga dello stato di emergenza per la diffusione del Covid-19. Ciò implicherà che lo smart working continui ad essere uno strumento altamente raccomandato e applicabile nella sua forma semplificata, ovvero in modo unilaterale da parte del datore di lavoro.
L’Indagine sullo smart working 2020, capire il presente per progettare il futuro, voluta dalla confederazione Cifa, dal sindacato Confsal e dal Fondo Interprofessionale FonARCom ed elaborata e condotta dal Centro Studi InContra, ha mostrato come solo il 33,15% dei lavoratori del privato, facenti parte del campione, lavorava in modalità agile già da prima della fase emergenziale e come questa percentuale, durante la fase di lockdown, sia quasi triplicata.
L’Indagine ha messo in luce come, all’interno del campione di riferimento, il lavoro agile sia stato visto in modo tendenzialmente positivo e se ne siano apprezzati i vantaggi che è in grado di apportare a livello lavorativo e personale, seppur sia stato sperimentato in forma atipica nella fase emergenziale. L’adozione “forzata” ha quindi aperto la strada allo sviluppo di un interesse nel mantenere il lavoro agile anche quando la situazione si sarà normalizzata. Come si accennava, però, al termine dello stato di emergenza tornerà ad essere vincolante la sottoscrizione dell’accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore, in cui dovranno essere definiti i tempi e le modalità delle prestazioni lavorative rese in smart working e, quindi, al di fuori dei locali aziendali. Aziende e lavoratori che intendano, dunque, proseguire nell’esperienza “smart” non devono farsi trovare impreparati al termine dello stato di emergenza.
A tale scopo, di seguito viene riportato un breve excursus sui principali elementi del lavoro agile che devono essere regolati, nella sua forma non “semplificata”, attraverso gli accordi aziendali ed alcuni esempi relativi ad accordi precedentemente stipulati da diverse aziende. Da essi risulta evidente che l’attuale cornice normativa di agibilità crea alcuni elementi di incertezza, che rischiano di ostacolare il pieno successo dello smart working nelle aziende italiane. Cifa, grazie a indagini e studi del Centro Studi InContra, sta lavorando ad una proposta alternativa di regolamentazione del lavoro agile, esposta al Ministro del Lavoro Nunzia Catalfo nel corso di un'audizione tenutasi il 25 settembre. Difatti, il Ministro Catalfo è a lavoro con le parti sociali proprio per rivedere molti meccanismi contenuti nella Legge sul Lavoro Agile e per rimettere la decisione in capo alla contrattazione collettiva. La contrattazione collettiva potrebbe dare un valido contributo nell’attenuare i vincoli spaziali ed orari della prestazione lavorativa, promuovendo al contempo una visione del lavoro che sappia stimolare una cultura dell’autonomia e della responsabilità dei lavoratori. È divenuto quindi prioritario scardinare la tradizionale logica di prestazione lavorativa incentrata sul concetto di “subordinazione”, controllo diretto, vincoli spaziali e temporali. La contrattazione collettiva – in particolar modo quella di secondo livello – può avere un ruolo chiave nel garantire provvedimenti che sostengano e tutelino il lavoratore, ad esempio, andando a definire il diritto alla disconnessine e dando vita ad apposite misure di welfare aziendale ed a favore della salute e sicurezza sul lavoro.
Nel frattempo, guardare a ciò che è stato fatto fin qui, può aiutare tutte le parti in gioco a capire come meglio progettare la strada da percorrere nel prossimo futuro.
ACCESSO ALLO SMART WORKING E CRITERI DI PRIORITÀ
Rispetto i destinatari delle disposizioni in tema di lavoro agile, il comma 3-bis dell’art. 18 della Legge 81/2017 riconosce un diritto di priorità ad alcune categorie di lavoratori. La linea politica adottata sembra voler favorire la genitorialità e l’espletamento dei doveri parentali, infatti dovranno essere prese in considerazione prioritariamente: le richieste presentate da lavoratrici madri nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità di cui all’art. 16 del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, e da lavoratori con figli in condizione di disabilità ai sensi dell’art. 3, comma 3, della l. 5 febbraio 1992, n. 104. Guardando agli accordi individuali stipulati da diverse aziende negli anni passati, è possibile vedere, però, che, oltre allo stato familiare e/o di salute, sono stati presi in considerazione anche altri criteri. Ad esempio, molte aziende – tra cui Vodafone, Euler Hermes, Assicurazioni Banca Piemonte – hanno concesso lo smart working principalmente ai lavoratori con contratto a tempo indeterminato (full o part time). In altri casi – come quello del Gruppo UBI – si è posto un ulteriore vincolo legato all’anzianità di servizio, ma si è anche tenuto conto dei dipendenti che presentano una distanza rilevante tra la propria residenza e l’unità organizzativa di assegnazione.
ORARIO DI LAVORO E DI REPERIBILITÀ
Uno dei primi ambiti di applicazione dello strumento del lavoro agile concerne l’orario di lavoro. La prestazione lavorativa non dovrebbe prevedere vincoli predeterminati di orario, fatti salvi i limiti imposti dalla legge e dagli accordi collettivi. La Legge 81/2017 prevede che il lavoratore agile debba essere libero di decidere «senza vincoli di orario o di luogo» le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa. Il lavoro svolto in un inquadramento temporale prefissato, viceversa, non dovrebbe essere considerato agile. Di fatto, però, gli accordi aziendali determinano l’orario di lavoro e di reperibilità, la definizione delle modalità di rilevazione presenze-assenza e la regolamentazione dell’utilizzo di ROL e ferie.
Nella maggior parte degli accordi aziendali presi in esame viene stabilito che l’orario di lavoro rimane quello contrattualmente previsto, che coincide con l’obbligo di reperibilità. In alcuni casi vengono riconosciute le caratteristiche di flessibilità in essere (Accordo del Gruppo Bancario Crédit Agricole, del marzo 2017), mentre gli straordinari non sono previsti, salvo i casi in cui siano necessari e non differibili: è il caso di Assicurazioni Banca Piemonte (accordo del 20 gennaio 2017), che in tali circostanze ammette gli straordinari, i quali devono essere preventivamente approvati dal responsabile e comunicati alla Funzione HR. Una soluzione per concedere maggiore flessibilità al lavoratore, in linea con i principi dello smart working, è quella di prevedere delle fasce orarie ampie in cui la prestazione deve essere fornita: è la scelta effettuata da Poste Italiane, nell’accordo sottoscritto nel gennaio 2019.
PIANIFICAZIONE DELLO SMART WORKING
Negli accordi aziendali di smart working devono essere stabilite le giornate che settimanalmente e/o mensilmente il lavoratore può svolgere in modalità agile e deve essere definito se tali giornate possano essere frazionate (ossia svolte in parte in smart working e in parte in presenza) o se debbano essere necessariamente intere. Sono aspetti sui quali le aziende hanno molta discrezionalità, potendo così coniugare al meglio l’esperienza di lavoro agile con le proprie esigenze produttive ed organizzative.
La Banca del Piemonte, ad esempio, ha scelto, nell’accordo del 2017, di concedere massimo 14 giorni al mese in modalità agile, preferibilmente per non più di 3 giorni a settimana. La scelta di fissare sia un tetto massimo di giornate mensili e sia uno riguardante quelle settimanali è frequente e, tendenzialmente, viene specificato che i giorni di smart working non utilizzati nel corso di una settimana non sono cumulabili con quelli della settimana successiva. Le giornate da svolgere in modalità agile vengono programmate con cadenza mensile o settimanale. In caso sia necessario apportare delle variazioni a quanto programmato, la maggior parte degli accordi prevede un preavviso di almeno 48 ore con il quale il lavoratore deve avvisare il proprio responsabile e viceversa. Il numero di giornate in smart working subisce, in alcuni casi, un incremento per neo-mamme e neo-papà (il caso di Zurich, con l’Accordo rinnovato nel marzo 2018).
SEDE DELLA PRESTAZIONE
Uno dei principali ambiti di applicazione dello strumento del lavoro agile concerne la sede di lavoro. La Legge sul Lavoro Agile afferma che «la prestazione lavorativa viene eseguita in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa». Lo smart worker non dovrebbe quindi essere soggetto a particolari vincoli spaziali nell’eseguire la propria prestazione a distanza. Nonostante questo, la libertà di scelta del luogo in cui svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile è limitata, da un lato, dall’obbligo di diligenza e cooperazione incombente sul lavoratore agile e, dall’altro, dai vincoli derivanti dalla necessità di tutelare la sicurezza e la salute del medesimo. Per tali ragioni, lo smart worker è tenuto a scegliere un luogo di lavoro, esterno ai locali aziendali, che consenta l’esercizio della propria prestazione lavorativa, in condizioni idonee anche dal punto di vista dell’integrità psico-fisica. Al fine di non incappare in problematiche legate a questi aspetti, molti accordi aziendali definiscono a priori un numero limitato di luoghi in cui la prestazione lavorativa può essere svolta come, ad esempio, un’altra sede aziendale, la residenza privata del dipendente o anche un altro luogo privato di competenza del dipendente, diverso dalla sua abitazione (Accordo del Gruppo Bancario Crédit Agricole del marzo 2017), ma anche, laddove presenti, spazi di co-working aziendali (Accordo del Gruppo UBI dell’agosto 2018). In altri casi, invece, viene lasciata libertà di scelta al lavoratore, esplicitando, però, che egli dovrà scegliere un luogo idoneo, che consenta lo svolgimento dell’attività lavorativa in condizioni di riservatezza e sicurezza e che permetta il collegamento con i sistemi aziendali (Accordo Vodafone del giugno 2014), escludendo quindi luoghi pubblici o aperti al pubblico. In altri casi, nonostante sia lasciata libertà di scelta al dipendente rispetto il luogo in cui prestare il servizio lavorativo, viene precisato che questo debba essere indicato di volta in volta nella programmazione delle giornate di smart working (Accordo di Poste Italiane del gennaio 2019).
SALUTE E SICUREZZA
L’art. 22 della Legge 81/2017 prevede, in materia di salute e sicurezza, che il datore di lavoro consegni al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro. Il dipendente è comunque tenuto, da parte sua, a cooperare all’attuazione delle misure prevenzionistiche per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali (comma 2, art. 22 Legge 81/2017).
In ogni caso, la mera informativa annuale sui rischi correlati alla particolare prestazione di lavoro può non essere sufficiente. Per questo alcune realtà aziendali hanno previsto un’apposita copertura assicurativa per infortuni professionali incorsi durante lo smart working (è il caso del Gruppo Bancario Crédit Agricole, con l’accordo del marzo 2017, e del Gruppo UBI, con l’accordo dell’agosto 2018).
In ogni caso, l’aspetto della sicurezza sul lavoro è intimamente legato con quello della scelta del luogo in cui svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile. Come si accennava precedentemente, infatti, la libertà di scelta del luogo è limitata, da un lato, dall’obbligo di diligenza e cooperazione incombente sul lavoratore agile e, dall’altro, proprio dai vincoli derivanti dalla necessità di tutelare la sicurezza e la salute del medesimo. Per tali ragioni, il lavoratore agile è tenuto a scegliere un luogo di lavoro, esterno ai locali aziendali, che consenta l’esercizio della propria prestazione lavorativa in condizioni idonee anche dal punto di vista dell’integrità psico-fisica.
STRUMENTAZIONE TECNOLOGICA
La Legge n. 81/2017 prescrive che il lavoratore agile possa eseguire la prestazione lavorativa «con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici», siano essi di proprietà del lavoratore oppure forniti e messi a disposizione dal datore di lavoro. In ogni caso, al comma 2 dell’art. 18 del testo di legge viene specificato che il datore di lavoro è «responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa». La Legge sul Lavoro Agile richiama anche l’art. 4 della legge 20 maggio 1970, che prevede che non venga installato/utilizzato nessuno strumento per il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, se non espressamente previsto dall’accordo collettivo stipulato con le parti sindacali o autorizzato dalla sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell'Ispettorato nazionale del lavoro.
In ogni caso, l’aspetto riguardante la fornitura della strumentazione tecnologica, seppur rilevante, non è ben definito nel testo normativo. Sarebbe preferibile che fosse l’azienda a fornire una dotazione standard di strumentazione digitale al fine di garantire una maggiore sicurezza ed eguali opportunità tra i lavoratori. Difatti, nell’Indagine sullo smart working 2020: capire il presente per progettare il futuro, il 30% dei lavoratori che non hanno aderito ad iniziative di smart working afferma di non averlo fatto proprio per via di una mancanza di strumentazione idonea. Considerando, però, che l’obbligo di fornire strumenti tecnologici e digitali ai dipendenti creerebbe delle disparità tra le aziende, sarebbe necessario garantire degli interventi volti a sostenere e promuovere, anche nelle piccole e piccolissime imprese, l'adozione dello smart working.