A seguito dell'avvio dell'indagine smart working 2020: capire il presente per progettare il futuro, Salvatore Vigorini, Presidente del Centro Studi InContra, ha rilasciato un'intervista a a Massimo Mascini del quotidiano Il Diario del Lavoro, sui necessari interventi che devono essere sviluppati affinché lo smart working possa portare dei concreti vantaggi alle organizzazioni che lo adottano. Si tratta, come sostenuto dal Presidente, di interventi prima di tutto normativi e contrattuali. Riportiamo di seguito l'intervista completa.
Presidente Vigorini, con quali prospettive InContra ha avviato un’indagine sullo smart working?
Noi da diversi anni portiamo avanti due principali ambiti di studio e ricerca, quello relativo al rapporto tra trasformazione digitale e nuovi modelli organizzativi e quello riguardante l’innovazione dei sistemi contrattuali e di relazioni industriali. Lo smart-working si inserisce puntualmente in entrambi questi ambiti e il suo ricorso "forzato", a cui abbiamo assistito in questo periodo emergenziale, ci offre l’occasione di strutturare una riflessione e un approfondimento sull’organizzazione aziendale in Italia e sugli ambiti di intervento per la sua innovazione.
Per questo siete partiti cercando maggiori dati sul fenomeno?
In questa applicazione semplificata dello smart-working, che molti preferiscono chiamare "home working", sono già emerse potenzialità e problematiche del lavoro a distanza, ma è giusto parlarne con i dati alla mano. Quello che mi aspetto dall’indagine è di poter acquisire delle informazioni che ci aiuteranno ad interpretare meglio i cambiamenti in atto e a sostenere il nuovo modello di relazioni industriali e di contrattazione collettiva di qualità che Cifa e Confsal hanno tracciato con l’accordo che hanno sottoscritto il 28 ottobre 2019.
Il vostro obiettivo è far crescere l’innovazione tecnologica nelle imprese italiane?
Sì, ma non solo e non in senso assoluto. Per accogliere la trasformazione digitale nelle organizzazioni crediamo fermamente che bisogna prima di tutto valorizzare le persone e le relazioni.
In che modo pensate si debba agire?
Il primo passo da compiere è guidare le aziende italiane verso una nuova cultura del lavoro. Questo è possibile attraverso un solo strumento: la contrattazione collettiva. Tutte le questioni emerse in questo periodo, e che vogliamo rilevare attraverso l’indagine, devono essere affrontate all’interno della contrattazione. E’ prioritario rivedere la legge sul lavoro agile, la n° 81 del 22 maggio 2017, ma anche dare ampio margine di regolamentazione alla contrattazione collettiva e in particolare a quella di secondo livello, più capace di rispondere alle reali esigenze dei singoli contesti organizzativi.
La via prioritaria deve essere quella contrattuale?
Assolutamente. Da lì bisogna partire. La contrattazione è il principale attore di cambiamento. I contratti collettivi di lavoro oggi in uso sono calibrati su una vecchia idea di lavoro incentrata sul concetto di "subordinazione" che ha come principi cardine il rapporto tra ore lavorate e retribuzione e l’obbligo di rispettare precisi vincoli spazio-temporali. Ma questi mal si addicono ai lavoratori di oggi, dotati di un’elevata maturità professionale, altamente qualificati, che necessitano di maggiore autonomia nella gestione degli spazi, dei tempi e degli strumenti.
Quindi come ci si deve muovere?
Il legislatore deve liberare lo smart working dagli schemi giuridici del rapporto di lavoro subordinato, mentre la contrattazione collettiva dovrà definirne gli altri aspetti.
Quali per esempio?
Quelli riguardanti le categorie di lavoratori da adibire in modalità agile, la pianificazione delle giornate in smart working, l’eventuale reperibilità del lavoratore o il rientro in azienda, i criteri di idoneità dei luoghi in cui è possibile svolgere la prestazione lavorativa, nonché specificazioni rispetto la strumentazione che deve essere fornita al lavoratore dall’azienda. E poi ci sono i temi correlati come il welfare, il diritto alla formazione, la sicurezza sul lavoro e il diritto alla disconnessione.
Ma la contrattazione collettiva è in grado di regolamentare questi temi?
Il sistema di relazioni industriali nel suo complesso deve innovarsi e favorire il dialogo tra le parti e il coinvolgimento attivo dei lavoratori, valorizzando i loro contributi e le loro competenze. Questo anche in vista di una ridefinizione dei processi organizzativi che dovranno essere sempre più orientati al raggiungimento di obiettivi che siano significativi sia per il lavoratore che per l’impresa. Lavorare smart significherà sempre più lavorare per obiettivi e questo richiede di rivedere completamente le modalità con cui viene valutata la produttività e il riconoscimento economico del lavoratore.
Al centro della contrattazione deve esserci il lavoratore?
Se vogliamo che il lavoro non venga visto solo come un modo per avere lo stipendio, la contrattazione collettiva non può limitarsi a regolamentare i minimi retributivi, deve spingere le aziende ad aumentare l’engagement dei lavoratori e far sì che essi mettano a frutto la loro creatività e le loro competenze, divenendo i veri protagonisti delle organizzazioni.
Un cambiamento notevole, che può essere complesso portare a fondo.
Nasce un nuovo contratto psicologico con l’organizzazione in base al quale il lavoratore, nell’apportare le proprie competenze e relazioni, chiede di essere coinvolto e di partecipare da protagonista alla vita aziendale. In tale prospettiva l’azienda diviene il contesto nel quale esprimere il proprio potenziale. Nelle organizzazioni moderne va creata un’alleanza con la risorsa umana che deve essere ingaggiata, motivata, supportata e vista come un’opportunità che può generare valore nella misura in cui è messa nelle condizioni di esprimere tutto il proprio potenziale. Diviene indispensabile curare aspetti legati al suo benessere, fisico e psicologico, accrescere le sue competenze, rivedere i tempi e le modalità di erogazione della prestazione lavorativa per favorire un adeguato bilanciamento tra vita e lavoro.
Una trasformazione molto profonda, difficile da realizzare.
Sì, ma una moderna contrattazione collettiva deve guardare a questi aspetti favorendo l’innalzamento delle competenze attraverso la centralità della formazione continua nella contrattazione collettiva, tracciando nuove politiche retributive, favorendo la flessibilità e il benessere organizzativo per valorizzare la persona nel rispetto delle esigenze di produttività e di competitività delle aziende nelle quali operano.
Anche lo smart working richiede di mettere in gioco nuove competenze…
Il punto è proprio questo. Lo smart working sta mettendo di fronte agli occhi di tutti i cambiamenti che le tecnologie digitali producono nel mondo del lavoro. Ma è impensabile affrontare tali cambiamenti con delle competenze obsolete. Allo stesso tempo, non possiamo abbandonare i lavoratori a loro stessi, nella speranza che riescano ad adattarsi. È necessario definire accuratamente il contesto in cui lo smart worker deve inserirsi. A tal proposito il Centro Studi InContra ha lavorato molto sul tema delle competenze.
Con quali risultati?
In collaborazione con il Dipartimento di Management della Facoltà di Economia dell’Università La Sapienza di Roma, abbiamo dato vita all’Osservatorio permanente per la mappatura di competenze, in particolare quelle digitali, e abbiamo istituito un tavolo tecnico di confronto nazionale con aziende e professionisti del settore. In modo più specifico, il nostro obiettivo è quello di ridefinire i sistemi di classificazione del personale nei contratti collettivi nazionali, passando da una gestione per mansioni a una per competenze, aggiornando le classificazioni del personale anche in ragione dei nuovi profili nascenti. A tale modello di classificazione del personale si dovrà collegare un puntuale sistema di certificazione delle competenze e alla loro acquisizione dovranno essere collegati precisi incrementi retributivi.
I risultati della vostra indagine daranno un contributo significativo alla realizzazione di questi principi?
L’indagine è nata con l’intento di ascoltare e, allo stesso tempo, mettere in ascolto lavoratori e aziende sulle tematiche legate al ricorso allo smart working, confrontando i due punti di vista. Riteniamo importante mettere in risalto ombre e luci, potenzialità e contraddizioni, del lavoro "smart", perché questo ci aiuterà a gettare le fondamenta per creare una nuova idea di lavoro. L’indagine che abbiamo avviato venerdì 15 maggio, in occasione di uno degli incontri del ciclo #illavorocontinua, è un’occasione concreta per creare un dialogo partecipato. Raccogliere dei dati concreti, provenienti dai diversi attori del mondo del lavoro, è un passaggio fondamentale al fine di monitorare e interpretare i bisogni emergenti.
PARTECIPA ALL'INDAGINE SULLO SMART WORKING 2020: CAPIRE IL PRESENTE PER PROGETTARE IL FUTURO, COLLEGANDOTI A #ILLAVOROCONTINUA