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Frammentazione contrattuale nel settore della Metalmeccanica

Il CNEL conferma che i CCNL reggono la prova della comparazione.

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Il fenomeno della proliferazione della sottoscrizione di contratti collettivi nazionali, in uno all’ampio dibattito sulla maggiore o minore rappresentatività comparativa dei soggetti titolari della negoziazione, rappresenta la querelledegli ultimi anni.

 

Tale dato ha indotto l’Ufficio che cura l’aggiornamento dell’archivio del CNEL a realizzare una preliminare attività di verifica empirica sull'esistenza di una disparità nel trattamento economico fissato dai diversi accordi nazionali vigenti, concernenti il medesimo settore, partendo proprio da quello della metalmeccanica, in cui si è registrato un incremento molto significativo di nuovi contratti.

L’analisi realizzata, in realtà, è il risultato di mesi di discussione sul dumping contrattuale, di cui sono state illecitamente imputate le organizzazioni datoriali che non hanno siglato e non siglano i CCNL con la triade sindacale Cgil, Cisl e Uil.

L’8° report pubblicato dall’Ufficio in esame ha selezionato ed esaminato 25 CCNL dei 32 presenti nella banca dati del CNEL. Per rendere il più omogeneo possibile il confronto dei dati, l’analisi è stata ristretta al periodo di vigenza compreso tra la seconda metà del 2016 e il primo semestre del 2017.

La “sorpresa” scaturita dalla comparazione è stata quella di impattare con contratti sottoscritti dalla maggior parte delle nuove organizzazioni che prevedono una remunerazione tabellare in linea di massima “allineati” a quelli previsti dai contratti firmati dai sindacati confederali: in alcuni casi coincidenti, in altri di poco inferiori, in altri ancora addirittura superiori.

Da ciò ne è derivato, si legge nel rapporto, che

"il fenomeno della frammentazione contrattuale non sembra tradursi in una differenziazione dei livelli retributivi minimi stabiliti con CCNL. Più che al livello nazionale, i meccanismi di differenziazione salariale agiscono con maggiore evidenza agli altri livelli della contrattazione aziendale e individuale, mentre sulla consistenza della retribuzione di fatto hanno incidenza pratiche “informali” che rendono possibile un “gioco al ribasso” ancora più difficile da analizzare”.

Dinanzi a tale palese conclusione, è lapalissiano sostenere che la contrattazione collettiva nazionale non pone problemi di dumping contrattuale, anzi, se la comparazione avesse riguardato anche altri istituti contrattuali, si sarebbe ulteriormente “scoperto” che, molti dei CCNL tacciati di dumping, in realtà, prevedono istituti innovativi e di qualità, che rispondono in maniera efficace alle molteplici esigenze del mercato del lavoro attuale.

Dal rapporto, tuttavia, si lascia intendere che è nella contrattazione aziendale che potrebbero annidarsi eventuali problemi di dumping. E allora, partendo da quanto disposto dall’art. 51 del D.Lgs. 81/2015 che letteralmente dispone "ai fini del presente decreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali”, è evidente che possa sopraggiungere qualche dubbio in merito a chi possa essere effettivamente “accusato” di fare dumping contrattuale.

In tale solco, è anche la realtà produttiva ad evidenziare che l’efficacia e la garanzia degli accordi sottoscritti non può certo dipendere dal mero nomen di chi stipula. In un mercato del lavoro che cambia, si trasforma, che guarda a nuove forme di flessibilità, al welfare, all’incremento della produttività, diviene opportuno potenziare una contrattazione di qualità.

Frammentazione contrattuale nel settore della Metalmeccanica: il CNEL conferma che i CCNL reggono la prova della comparazionePer favorire la crescita, la competitività e la produttività del Paese è opportuno sganciarsi da un sistema delle relazioni industriali obsoleto, che non risponde più alle esigenze del mercato del lavoro. Occorre abbandonare l’idea sempre meno sostenibile che i CCNL siglati dalle organizzazioni reputate comparativamente più rappresentative costituiscano una garanzia per i lavoratori e più in generale, per il mercato del lavoro. I CCNL siglati dai sindacati appena richiamati, infatti, potrebbero essere utilizzati, come sancisce da anni la giurisprudenza, quale metro di misura per garantire i livelli retributivi minimi dei lavoratori e, dunque, garantire quanto sancito dall’art. 36 Costituzione. Anche tale assunto perde la sua rilevanza se si considera quanto desunto proprio dal rapporto del CNEL sopra citato. Esistono, infatti, è da ribadire, CCNL non siglati da organizzazioni non reputate comparativamente rappresentative che garantiscono, in alcuni casi, livelli retributivi più elevati rispetto ai contratti leader.

A conclusione, dunque, è evidente che non trova più fondamento la tesi del “comparativamente più rappresentativo” come trattato fino a questo momento. In quest’ottica è necessario porsi in maniera innovativa e guardare concretamente alle esigenze reali del mercato con una contrattazione di qualità, che non si limiti solamente a regolamentare i classici istituti tipici della contrattazione, ma che fornisca strumenti utili ed efficaci ai datori di lavoro in termini di flessibilità, produttività, nuove mansioni e nuove forme di classificazione del personale, formazione, politiche attive del lavoro e welfare.

L’obiettivo è approdare a un sistema di contrattazione che potenzi le intese dal basso, in un'ottica di qualità a cui vada ad affiancarsi un sistema di misurazione della contrattazione in termini qualitativi, una contrattazione che tenga conto della stretta connessione con il territoriopuntando fortemente sulle politiche di welfare, sulla bilateralità, sulla strategica leva della formazione e dell’incremento delle competenze del lavoratore, sulla flessibilità dei contratti di lavoro e il contrasto al lavoro irregolare, tenendo ben impresso il paradigma che, nel rispetto dei dettami costituzionali, legislativi e dell’autonomia delle parti, la componente della retribuzione non può rappresentare l’unico e privilegiato indicatore qualificante una contrattazione di qualità.

Più nel dettaglio, dunque, al fine di contrastare il fenomeno dei cosiddetti contratti pirata e del dumping contrattuale, nel rispetto della libertà sindacale riconosciuta dall’art. 39 della Costituzione, la cernita dei contratti collettivi dovrebbe fondarsi su criteri certificati di qualità.

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