Nelle ultime settimane, per venire incontro alle esigenze contingenti di migliaia di imprese e lavoratori in ragione dell’emergenza sanitaria determinata dalla diffusione del virus Covid 19, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha emanato una serie di provvedimenti che hanno introdotto una procedura semplificata di attivazione dello smart working, in deroga alle regole preesistenti.
Lo smart working prima e dopo l'emergenza
Tuttavia lo smart working, inteso come una delle modalità di svolgimento del rapporto di lavoro subordinato, non esiste in quanto “misura di emergenza” e, nella situazione attuale, è necessario fare luce su alcuni aspetti di interesse per imprese e lavoratori.
A fronte dell’emergenza che le aziende italiane si trovano a dover fronteggiare in questo momento e dell’improvviso e massiccio ricorso delle stesse allo smart working, la questione di grande interesse è comprendere cosa accadrà quando l’emergenza sarà rientrata.
Una cosa è certa, ci troveremo tutti ad aver sperimentato assetti e modelli organizzativi rinnovati e finora quasi totalmente inutilizzati.
L’emergenza sanitaria sta accelerando il ricorso a tale modalità di lavoro invertendo una tendenza che fino a qualche settimana fa assumeva connotati differenti.
Secondo i dati dell’Osservatorio della School of management del Politecnico di Milano, infatti, nel 2019 hanno fruito del lavoro agile circa 570mila lavoratori, in crescita del 20% rispetto all’anno precedente. È innegabile, però, che nonostante le temporanee semplificazioni, esiste tutt’oggi una realtà fortemente polarizzata sul territorio nazionale. Se prendiamo come parametro la dimensione aziendale, le grandi imprese che fino allo scorso anno hanno applicato in maniera strutturata forme di lavoro agile sono 58 su 100, con un incremento del 7% nel caso di attivazione di iniziative informali. Nel caso delle PMI, invece, il dato sui progetti strutturati scende al 12%, con il 51% delle aziende che si dichiaravano totalmente disinteressate all’attivazione di iniziative di smart working. Questo dato è drammatico, se consideriamo che l’economia nazionale poggia su un tessuto di quasi 3,7 milioni di PMI, per un totale di circa 9,8 milioni di lavoratori.
Si è registrata, dunque, una rilevante differenza nel ricorso allo smart working tra piccole e grandi imprese e questo va attribuito non soltanto alla possibilità di acquistare digital device (quali pc portatili, smartphone, tablet ecc.) da dare in dotazione ai propri dipendenti e di attivare VPN (Virtual Private Network), ma anche alla capacità di intraprendere un percorso di profondo cambiamento nei modelli culturali e manageriali dell’organizzazione. Lo smart working, infatti, per sua definizione, non può essere considerato unicamente come “strumento” da adottare per un breve periodo per delle situazioni circostanziali, ma è un approccio all’organizzazione aziendale che richiede un percorso di crescita e un cambiamento culturale.
Quando l’emergenza sanitaria sarà rientrata, il sistema produttivo del nostro paese si troverà quindi notevolmente modificato e rinnovato. Da un lato la penetrazione tecnologica e le competenze tecnologiche, e dall’altro, l’abbattimento delle barriere culturali e i nuovi modelli organizzativi necessari per fronteggiare la crisi sanitaria, avranno consentito ad imprese e lavoratori di comprendere e sfruttare appieno tutte le potenzialità connesse allo smart working.
I vantaggi dello smart working
I vantaggi connessi ad un’applicazione consapevole dello smart working sono infatti molteplici, e oggi più che mai è necessario coglierne gli effetti positivi. In linea generale, a livello aziendale si riscontrano impatti positivi sui costi (basti pensare ai consumi energetici) e sulla produttività aziendali. Per i lavoratori, lo smart working ha effetti positivi sul work-life balance, che consiste nel bilanciamento tra il tempo dedicato al lavoro e alla carriera e quello dedicato alla propria vita personale (il proprio tempo libero). Questo fattore si lega al tema della sostenibilità sociale: una delle azioni che può intraprendere un’azienda per rendersi socialmente responsabile è quella di migliorare il benessere e la qualità della vita dei propri dipendenti. Riequilibrando il rapporto tra i loro tempi di vita e i tempi di lavoro, lo smart working può donare, al lavoratore, la libertà di gestire le proprie esigenze personali, scegliendo il luogo in cui lavorare e stabilendo, entro determinati limiti concordati con l’azienda, il proprio orario di lavoro.
Ma quali saranno le criticità da superare e le misure da adottare affinchè il ricorso allo Smart Working non si riveli soltanto un fenomeno legato alle stringenti necessità del momento, ma possa, al contrario entrare sempre più nella nostra cultura d’impresa?
Esistono delle criticità che dovranno essere affrontate e limitate. Alcuni esempi possono essere la sensazione di isolamento rispetto al contesto sociale di riferimento e il cambiamento delle dinamiche relazionali, possibili difficoltà connesse all’infrastruttura tecnologica e alla rete, anch’esse spesso riconducibili a ritardi nazionali, difficoltà di interazione e comunicazione legate ad una scarsa alfabetizzazione digitale.
Nuovi modelli organizzativi
Sotto il profilo organizzativo, sarà quindi necessario adottare misure chiare e condivise, a partire dalla definizione di nuovi processi. Così, una volta conclusi gli adempimenti obbligatori, sarà necessario definire obiettivi e priorità di breve periodo, conformemente alle risorse umane e tecnologiche in dotazione. Allo stesso modo, cambierà il sistema di valutazione della prestazione lavorativa, non basandosi più sulla presenza fisica ma sui risultati finali. In questo modo, sarà possibile per datori di lavoro, manager e lavoratori, tracciare le diverse attività, anche mediante tool gratuiti e reperibili sul web. Dunque, come teorizzato e riscontrato in tempi meno bui, la tecnologia oggi è un fattore chiave in grado di risolvere la potenziale paralisi del sistema produttivo nazionale e di abilitare cambiamenti profondi nelle organizzazioni.
Assistiamo e assisteremo progressivamente al completo superamento dell’”era fordista”, dove l’estrema razionalizzazione dei metodi di lavoro a supporto della produttività deve lasciar spazio a processi automatizzati con criteri di specializzazione flessibile, costruiti su strutture agili, con nuove forme occupazionali e una struttura a rete in grado di collegare tra loro più imprese, tipici di una società post-industriale.
Nuovi modelli organizzativi dovranno regolare aspetti come:
- flessibilità (intesa sia come flessibilità spaziale e temporale, sia come attitudine personale),
- autonomia,
- responsabilità,
- orientamento al servizio e al risultato.
Tuttavia, come accennato in precedenza, alle iniziative aziendali si dovranno accompagnare i necessari interventi sulle infrastrutture, la diffusione della fibra e della banda larga, il potenziamento del wifi nei luoghi pubblici, misure di semplificazione delle forme contrattuali che agevolano e promuovono tali forme di flessibilità. Coerentemente, sarà necessario considerare interventi legislativi volti a disciplinare il diritto alla disconnessione, tema solo introdotto in Italia, ma già disciplinato in altri Paesi come la Francia. Parallelamente, sarà necessario fronteggiare il fenomeno di “analfabetismo digitale” che ancora pesa in maniera consistente sul Paese.
A supporto delle imprese, le istituzioni e i professionisti (come i consulenti del lavoro) dovranno essere pronti a fronteggiare questa emergenza facendo squadra.
In aggiunta, iniziative di formazione continua per il sostegno e la promozione del cambiamento sono e saranno indispensabili.